Niente è mai veramente perduto, o può essere perduto, nessuna nascita, forma, identità, nessun oggetto del mondo, nessuna vita, nessuna forza, nessuna cosa visibile; l'apparenza non deve ostacolare, né l'ambito mutato confonderti il cervello. Vasto è il Tempo e lo Spazio, vasti i campi della Natura. Il corpo, lento, freddo, vecchio ,cenere e brace dei fuochi d'un tempo, la luce velata degli occhi tornerà a splendere al momento giusto; il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile dellaprimavera, con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.P.B. Shelley



11 giugno 2010

South Africa



Roberto Saviano a Che tempo che fa su Raitre :
" Questa canzone di Miriam Makeba, una delle artisti più grandi della storia musicale, si chiama Pata Pata.
La conoscete tutti, è una danza che racconta di una ragazza che ancheggia, che muove il sedere.
Racconta di questo, di una persona che sta danzando.
Miriam Makeba era stata invitata a Castelvolturno, a fare un concerto in solidarietà dei ragazzi ammazzati dalla Camorra e in mia solidarietà, la cosa infatti mi lusingò tantissimo.
Pata Pata, questo disco, possederlo in Sudafrica significava poter essere condannati dai tre ai sette anni per banda armata, possedere Pata Pata.
Miriam Makeba, per aver scritto questa e altre canzoni, viene cacciata dal Sudafrica è costretta ad un esilio di trent’anni, Miriam Makeba viene cacciata per questa canzone, trent’anni di esilio dal Sudafrica dell’Apartheid.
Non è una canzone che parla di lotta sociale, non è una canzone che incita alla rivolta, non è una canzone che attacca i bianchi, non è una canzone contro il razzismo ma mette paura perché è una canzone che parla di una ragazza che vuole danzare, una ragaza che vuole essere felice e come si fa ad essere felici con un governo così, con quel governo in Sudafrica, l’assioma è questo.
Quello che fa mettere paura al governo, che fa allontanare Miriam Makeba è proprio questo, ascoltandola hai voglia di danzare, di essere felice, hai voglia di condividere la sua idea di mondo e quell’idea di mondo arriva al cuore, alle orecchie, allo stomaco delle persone attraverso la storia di una ragazza che vuole ballare, vuole ballare.
Trent’anni di esilio hanno fatto si che Miriam Makeba fosse attenta a quello che accadeva in Africa, fosse attenta anche a quello che avveniva fuori dall’Africa.
Una cantante abituata a teatri pieni, a stadi pieni arriva in un paesino sperduto del sud Italia, arriva a Castelvolturno fa questo concerto lo fa in nome della diaspora africana, lo fa in nome di ragazzi ammazzati, lo fa in nome delle prostitute nigeriane che lei conosce benissimo, sa benissimo di questo problema lì a Castelvolturno.
Canta Pata Pata, anche lì, chiude il concerto come faceva sempre e dopo muore, muore lì a Castelvolturno.
Mi chiamano mi dicono che stava male, mi dicono che nonostante avesse delle fitte al costato ha voluto cantare e mi dice soprattutto, la persona che mi chiama, che c’è stato un profondo ritardo del soccorso, allora mi sento in colpa, mi sento in colpa perché Miriam Makeba era venuta anche per me, aveva scritto, mi aveva chiesto il libro, le avevo dato la dedica, ero stato contento del suo arrivo ma questa cosa cambiava tutto.
La sua vita, incredibile "Mamma Africa", non poteva finire a Castelvolturno, lei aveva battuto per il suo continente, l’idea che si potesse essere spenta lì non mi dava pace.
Allora a un certo punto decido di scrivere una lettera, anche un po’ di scuse, alla famiglia di Miriam Makeba e la pubblico sul "Times" di Johannesburg in Sudafrica, in questa lettera dicevo solnto che mi dispiaceva, mi dispiaceva tantissimo, mi sentivo anche in colpa, mi sentivo in colpa perché Miriam Makeba era morta lontano dalla sua terra era morta lontano. La risposta venne due giorni dopo, mi rispose la famiglia mi disse: "ma non devi tormentarti Miriam è morta in Africa".

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